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AudioBook: In gondoleta di Antonio Negri
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In Gondoleta
Barcarole e Rime Veneziane
MILANO CARLO ALIPRANDI, EDITORE Via Stella, Num. 9.
Milano--Prem. Stab. Tip. dell'Editore CARLO ALIPRANDI--Via Stella, 9.
PREFAZIONE
Eccoti, lettrice gentile, dei versi in dialetto veneziano, in quel dialetto che, se sei veneziana, suona sulle tue labbra come una carezzevole armonia, e che, anche se non sei veneziana, sa giungere all'orecchio tuo come una facile musica dolce.
Non ti voglio annoiare con una lunga prefazione: debbo però dirti che questi versi sono stati composti dal 1893 al '95 e che sono inediti, eccetto poche poesie che uscirono insieme ad altre non comprese nel presente volume, nei giornali dialettali di Venezia, sotto il mio pseudonimo: RATAPLAN.
Così ho detto quanto sentivo il bisogno di dirti: leggi ora i miei versi, lettrice buona e cortese. E se le mie barcarole, le mie canzonette, le mie vilote ti saranno piaciute, o lettrice, ringrazia la mia Venezia, la cara città che le ha dettate al mio cuore, quando, a tarda sera, muto e raccolto passeggiavo lungo il Molo, sotto l'argenteo fulgore lunare, di fronte all'isola di S. Giorgio, misteriosa nell'ombra, mentre nella pace notturna l'alito soave della brezza e l'onda quieta della laguna s'accordavano a una dolce armonia.
Venezia, 7 aprile 1895.
ANTONIO NEGRI.
AVVERTENZA
Per quanto riguarda l'ortografia adottata nel presente volumetto, devo premettere due parole. Come consigliò Attilio Sarfatti nella «nota» premessa alla prima edizione delle sue Rime Veneziane, anch'io scrissi la consonante c davanti ad i, e, con la cédille, che determina il suono s: e tolsi l'h, che si soleva una volta mettere fra la c e la i, la c e la e. Così çielo, çimitero, çità, dolçe, ecc., si leggeranno: sielo, simitero, sità, dolse, ecc.; invece di vechio, vechi, vecie, ochio, a chico a chico, ecc., secondo la grafia antica, preferisco scrivere vecio, veci, vecie, ocio, a cico a cico, ecc., le quali parole, non avendo alcun segno, si leggeranno come sono scritte.
In quanto concerne il modo per indicare graficamente il suono palatino della c che segue alla s, convengo con quanto scrisse il Dottor Umberto Spanio nella «Avvertenza» anteposta ai versi Un toco de vita veneziana, pubblicati sotto il pseudonimo: GRILO. Trascrivo le sue parole: «La difficoltà maggiore sta nel modo di indicare graficamente il suono palatino del c che segue alla sibilante dentale. Il Boerio ed altri proposero di rendere questo suono coll'aggiunta di un h ed insegnarono quindi di scrivere: rischiar, schioco, schiantar, ecc. Altri tentarono di indicare questo suono coll'interporre una lineetta fra la s e la c: ris-ciar, s-cioco, s-ciantar. Perchè non adottare il sistema della linguistica moderna, che distingue il suono palatino del c per mezzo di un accento sovrapposto? Così: risc´iar, sc´ioco, sc´iantar, si pronunciano come fosse scritto: ris-ciar, s-cioco, s-ciantar, a differenza della pronuncia di sciar, scioco e simili», che si pronunciano come ad esempio l'italiano: scia.
MONTA, NINETA, IN GONDOLA....
Monta, Nineta, in gondola, Te condurò lontan su la laguna; Vien, Nina mia, destrighete, Chè, fin dal çiel, le palide Stele te fa l'invito a una, a una.
Su l'onda queta e limpida, El cuor xe più espansivo e più sinçero; Fra la pase dolçissima Del mar, del çielo splendido, L'amor ga un zentil senso de mistero.
Adasio, el vento tiepido Che de l'Oriente porta la carezza, Ne sonarà la musica Che sente sole l'aneme Inamorae, co un'intima dolçezza.
E quando po' le nuvole Vorà ofuscar de la gran luna el viso, Ne la penombra, palide Fantasme dirà storie De cuori innamorai, de paradiso.
E da lontan, Venezia Zentil e ciara[1] sora l'aqua piana, Velada[2] un fià[3] da nebie Che più cressa el so' fassino,[4] Soridarà come oriental sultana.
Storie de amor, de spasemi D'aneme inamorae cantarà el vento; I nostri cuori zoveni I sentirà in un'estasi La divina poesia del firmamento.
De la laguna el plaçido Specio, del çiel rifletarà i splendori; Ne l'incantà silenzio Sentiremo a l'unisono El bater spezzegà[5] dei nostri cuori....
Monta, Nineta, in gondola, Te condurò lontan su la laguna; Vien, Nina mia, destrighete, Chè, fin dal çiel, le palide Stele te fa l'invito, a una, a una.
«AMAR, AMAR, AMAR....»
Nina, d'amor ne parla el çiel rosà, Le rare nuvolete, El sol basso su l'aqua, imporporà, Le picole barchete Che su l'ondina placida, liziere, Lontan le svola via.... Tuto dise d'amor vose[1] sinçere, Bela Nineta mia.
Se una vela se perde nel lontan Paçifico orizonte; Se co ela se perde un senso arcan De contentezze sconte[2], De l'altre vele vien a nualtri in volta[3] Più alegre sora 'l mar.... Tute 'ste cosse, mia Nineta, 'scolta, No le te fa pensar?
Varda el cocal[4] che sora l'aqua svola: Come che 'l ride: senti! No par che anca lu creda a la parola Dolçe e cara dei venti?... «Amar, amar», ne la so vose el canta: «Amar, amar, amar....» Ti, mia Nineta, a la parola santa No ti ghe vol badar?...
Le nuvole, el cocal, el sol, l'ondina, Varda, crede a l'amor. Solo el ridar del çiel, dolçe mia Nina, Te dise gnente el cuor? Pensa da novo, cara, al sentimento Che me enthousiasma mi: Che le vele lontane o pur el vento No diga gnente a ti?
PARCOSSA?...
Parcossa[1], quando mi te vardo el viso, Ti vardi in alto, in cielo? Parcossa, co' mi çerco el to soriso, Anzoleto mio belo, Ti seri qu
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