eBook Gratuito, Voce AI, AudioLibro: Annali d'Italia, vol. 7 di Lodovico Antonio Muratori

Audiolibro: Annali d'Italia, vol. 7 di Lodovico Antonio Muratori
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Anno di CRISTO MDCLXXV. Indiz. XIII.
CLEMENTE X papa 6. LEOPOLDO imperadore 18.
L'anno fu questo del giubileo romano, aperto con gran solennità da papa Clemente X, non avendo mancato il santo padre di contribuir molte limosine in alimento de' poveri pellegrini, di lavar loro i piedi e di regalarli. Più ancora avrebbe desiderato di fare, se la nemica podagra non l'avesse per lo più sequestrato in letto. Il concorso de' popoli non fu molto, perchè in troppi paesi bolliva la guerra, ed era in certa maniera cessata da gran tempo la novità di quella santa funzione. Gran tempo ancora continuò in Roma il dibattimento della controversia insorta fra il cardinale Altieri e gli ambasciatori delle corone, per l'editto pubblicato intorno alla nuova imposta della dogana. Ma finalmente nel luglio dell'anno presente, coll'interposizione del cardinale Colonna, ebbe fine, con aver dichiarato esso Altieri, non essere mai stata sua intenzione di comprendere in quell'editto i ministri delle corone, e che il papa farebbe sapere ai lor padroni che non era mai stata diversa la mente sua, con altri ripieghi di rispetto verso gli ambasciatori suddetti. La politica del mondo coll'empiastro delle bugie suol bene spesso sanar le piaghe. Si potea sulle prime terminar questa battaglia colla confessione di ciò che, detto colle labbra, ma non col cuore, sì tardi venne alla luce.
Un grave sconcerto accadde nell'anno presente in Toscana. A Cosimo III gran duca avea la gran duchessa Margherita Luigia d'Orleans partoriti due principi, cioè Ferdinando primogenito e Gian-Gastone, ed una principessa, cioè Anna Maria Luigia, che fu col tempo elettrice palatina. Fra questi due nobilissimi consorti sorsero dissensioni ed amarezze tali, che passarono ad una irreconciliabil divisione. Comunemente si credette che la vedova gran duchessa madre del duca, cioè Vittoria dalla Rovere, non approvasse la libertà franzese della nuora, e movesse il figlio a far delle doglianze. Savio principe sempre fu il gran duca Cosimo. Disgustata ritrossi la giovine gran duchessa in una casa di campagna con animo risoluto di tornarsene in Francia; ma fu ivi fermata e custodita dalle guardie postevi da esso gran duca, il quale non lasciò d'interporre, quanti mai seppe, ambasciatori e cardinali per rimuoverla da questo disegno, e persuaderle la riunione; ma senza che riuscisse ad alcuno di far breccia nel suo cuore.
Andarono le ragioni dell'una e dell'altra parte a Parigi; e il re, a cui non piaceva di disgustare un sovrano di tanto riguardo, e nè pur voleva abbandonare una principessa sua cugina, spedì a Firenze il vescovo di Marsiglia, sperando che alla di lui eloquenza e destrezza, sostenuta dal carattere di suo inviato, potesse riuscire di riconciliar gli animi loro. Ma questo prelato perdè la carta del navigare in tutto il suo negozio, trovandosi più che mai ostinata nel suo proponimento la gran duchessa. Sì fatte durezze cagion furono che il marito anch'egli concepì una gran ripugnanza a riunirsi con chi ne mostrava tanta verso di lui; e però venne alla risoluzione di lasciarla andare con un convenevole, cioè ricco annuo assegnamento. Ma prima restò concertato col re Cristianissimo, di consenso di lei medesima, che essa in Francia si eleggerebbe un chiostro per passarvi il resto de' suoi giorni, senza poter comparire alla corte. Sul fine dunque di giugno, servita da tre galee, arrivò questa principessa a Marsiglia, portando in Francia una rara bellezza e insieme una egual saviezza; passò dipoi a chiudersi senza rigorosa clausura nel monistero di Montmartre, dove il re e tutta la famiglia reale furono a visitarla. Questo divorzio fece poi scatenare le lingue e penne maligne degl'interpreti delle azioni altrui, imputandone chi all'una e chi all'altra parte il reato, con vituperio di principi tanto sublimi. La verità si è, che tanto essi principi che i mediatori della pace usarono la prudenza di non rivelar questo arcano; e se lo penetrarono i Fiorentini pratici di quella corte, seppero anche tirarvi sopra la cortina sì in riguardo alla carità, che pel rispetto dovuto ai proprii sovrani. Certo è altresì che mai più non si trovò maniera di riunirli: disgrazia memorabile per l'insigne famiglia de Medici, che forse non sarebbe venuta meno ai nostri giorni, se quella sì giovine e feconda principessa avesse continuata la buona armonia col consorte, e prodotti altri figli atti a supplire la poca fortuna dei primi.
Sul fine del gennaio dell'anno presente terminò il suo vivere, dopo essere giunto a più di novant'anni, Domenico Contarino doge di Venezia, a cui succedette nel dì 6 di febbraio Niccolò Sagredo procurator di San Marco. Similmente ebbe Torino di che piangere per l'immatura morte di Carlo Emmanuele II duca di Savoia, succeduta nel dì 12 di giugno e da lui abbracciata con sentimenti di vera pietà e di generosa costanza. Siccome egli avea sempre studiate le maniere di farsi amar dai suoi popoli, praticando con tutti una somma affabilità e cortesia, e una gran gentilezza verso le dame, onorandole del braccio, e mostrandosi liberale, splendido e generoso in ogni sua azione; così allorchè fu agli estremi della vita, volle che si aprissero le porte, acciocchè il suo popolo potesse anche veder lui morire, ed egli godere que' pochi momenti di vita della vista dei suoi cari sudditi. Oltre una lunga memoria delle sue molte virtù, ne lasciò egli non poche altre, per aver cotanto ingrandita ed abbellita la città di Torino, formata di Monmelliano una inespugnabil fortezza, fabbricati ponti, rotte e spianate montagne per far passar le carrozze, dove con difficoltà prima passavano gli uomini. A lui succedette in età pupillare il principe di Piemonte, cioè Vittorio Amedeo, unico suo figlio, che non aveva peranche compiuto l'anno nono di sua vita, sotto la tutela e reggenza
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