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AudioBook: Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte II by Michele Amari
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STORIA DEI MUSULMANI DI SICILIA
VOLUME TERZO
Parte Seconda.
FIRENZE. SUCCESSORI LE MONNIER. 1872.
LIBRO SESTO.
CAPITOLO I.
Trapasserei di molto i limiti ch’io mi proposi mettendo mano a quest’opera, s’io continuassi a trattare per filo e per segno la storia della Sicilia fino al tempo che vi rimasero abitatori musulmani. Nel presente libro io dunque toccherò per sommi capi le vicende della corte e de’ popoli cristiani, quanto basti a rischiarar quelle de’ Musulmani, delle quali noterò ben tutti i particolari che siano pervenuti infino a noi. Aggiugnerò le relazioni del principato co’ Musulmani di fuori; sì per la connessione del subietto, e sì per la novità dei fatti che, la più parte, si raccolgon ora per la prima volta negli scritti arabici.
Mancano gli annali cristiani della Sicilia dal primo al ventunesimo anno del duodecimo secolo, quando Ruggiero il giovane comparisce a un tratto uom di Stato, potente per armi e ricchezze, conquistatore del ducato di Puglia e nemico audacissimo de’ papi. Riscontrando co’ diplomi le poche parole che ne dicono i cronisti, ritraggiamo appena in questo periodo che, morto il primo conte Ruggiero (1101) rimasero di lui due bambini, Simone e Ruggiero, l’uno di otto anni, l’altro di sei; che la contessa Adelaide resse la Sicilia e la Calabria a nome del primo, infino al millecento cinque ed a nome di Ruggiero infino al cento dodici; e che l’anno appresso, il giovanetto rimanea padrone di sè medesimo e dello Stato. La madre andava in Palestina a rimaritarsi con Baldovino I, re di Gerusalemme; gli recava i tesori della Sicilia: ma il Crociato, quando gli ebbe sciupati, sciolse il matrimonio, connivente il papa, il patriarca ed un concilio (1116); sì chè l’Adelaide tornossi oltraggiata in Sicilia, dove poco stante (1118) morì. Una cronica dice vagamente che Simone nel “breve suo consolato avea durate gravi molestie da’ Pugliesi;” ond’e’ parrebbe che baroni di quella provincia, o forse il duca, si fossero provati ad occupare le Calabrie. Orderico Vitale, monaco francese di quella età, asseriva che un Roberto figlio del duca di Borgogna, fu dalla Adelaide chiamato in Sicilia, adoperato a reprimere i baroni, maritato ad una sua figliuola e poi scelleratamente morto di veleno: ma il nome non torna nei ricordi siciliani; nè un misfatto, sì leggermente supposto in tutti i tempi, può credersi a quel frate, ghiotto di favole e punto benigno all’Italia. L’abate di Telese, biografo del re, dice poco della sua fanciullezza: che lo Stato fu governato dalla prudentissima Adelaide sua madre; che Ruggiero non vedea mendico nè pellegrino che non gli desse tutti i danari ch’egli avea in tasca e que’ che domandava alla madre; e che, vivente il padre, giocando a battagliare con gli altri bambini, ei sgarava sempre il maggior fratello e lo scherniva: “lascia a me la corona e le armi, ch’io ti farò vescovo o papa di Roma.” Cotesti aneddoti mostrano, oltre gli alti spiriti del fanciullo, che a corte non si parlasse de’ papi con tanta riverenza, e che si tenesse in gran pregio la carità, precipua virtù dei Musulmani; ma non delineano di certo la storia del tempo.
La penuria de’ racconti pur vale a provare che sotto la reggenza non seguì alcuno strepitoso avvenimento; cioè che la contessa e i suoi consiglieri seppero usare, e forse compiere, i buoni ordini posti dal primo Ruggiero; e ch’e’ tennero salda la mano su quella nuova mescolanza di uomini, la quale parrebbe proprio il simbolo della discordia. La feudalità che tosto volse ad anarchia nel ducato di Puglia, non osò levar la testa in Sicilia: la quale generalità è compendiata, s’io ben mi appongo, nelle parole dei notabili di Traina, Centorbi ed altre terre della Sicilia centrale, i quali il millecenquarantadue attestavano in giudizio il seguente fatto de’ tempi della reggenza. Querelandosi un Eleazar, signore di San Filippo d’Argirò, che il vescovo di Traina, signore di Regalbuto, gli avesse usurpato un tratto di terreno, Adelaide commetteva il giudizio a Roberto Avenel e ad altri nobili uomini; i quali andati su i luoghi co’ notabili e i litiganti, Eleazar proruppe ch’ei volea dividere i confini con la spada; ma ripreso da Roberto e da tutti si acquetò: onde fu proceduto alla prova testimoniale ed alla decisione, come in tempi civili. Tal forza del governo venìa dall’assetto che avea dato alla feudalità il conquistatore; ed anco dal prudente ardire dell’Adelaide e de’ suoi consiglieri, i quali, facendo assegnamento in su i Musulmani, fermarono la sede del principato in Palermo.
Da Mileto nè da Traina non si potea reggere a lungo il nuovo Stato. Ragion volea che la capitale stesse in Sicilia e in sul mare. Sembra anzi che il primo Conte, finch’ei non ebbe signoria in Palermo, avesse eletta Messina; poichè non solamente ei rafforzolla e vi tramutò la sede vescovile di Traina; ma va riferita al suo tempo, ovvero ai primordii della reggenza, la fondazione della zecca, della reggia, e credo anco dell’arsenale, in quella città. Se non che acquistata (1093) la metà di Palermo e cominciato con gran lucro a maneggiare l’azienda della città per sè medesimo e per lo duca di Puglia, Ruggiero trovò in Palermo le basi da rifabbricare tutta l’azienda dell’isola.
I diwani istituiti da’ primi emiri e riordinati da’ Kelbiti, non erano al certo distrutti quando i Normanni presero la città: rimaneano, fossero anco stati negletti per alcun tempo, i casamenti, gli archivii, la zecca, gli arsenali; rimanea qualche segretario e computista: nè Roberto era uomo da lasciare inoperosa macchina così fatta, nè Ruggiero. I diwani, serbati e ristorati, attiravano la corte di Adelaide; l’attirava una città di due o trecentomila abitatori, con quei suoi maestosi edifizii, industrie fiorenti, lusso e ricchezze che la facean rivale di Cordova. L’esperienza dovea mostrare a’ governanti che se da Messina avrebbero tenuta meglio la Calabria, poteano all’incontro, da Palermo far sentire più pronta e più forte la mano in Sicilia; e che l’oro, il ferro e la necessaria fedeltà dei
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