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AudioBook: Storia di Milano, vol. 2 by Pietro Verri
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STORIA DI MILANO DEL CONTE PIETRO VERRI
COLLA CONTINUAZIONE
TOMO II.
CAPITOLO XI.
Di Matteo I, di Galeazzo I e d'Azzone Visconti, signori di Milano.
La storia d'un paese repubblicano può paragonarsi ad una vasta pittura che rappresenti un grande ammasso di oggetti variati, sulla quale scorre lo sguardo, incerto talora quali delle figure meritano un'attenzione distinta; alcuni oggetti veggonsi appena illuminati, altri indicati appena in lontananza; e nella memoria non rimane poi se non un tutt'insieme. Laddove la storia d'un paese soggetto ad un principe si rassomiglia ad un quadro storiato, di cui le figure tutte servono al risalto del principale ritratto, che a sè chiama i primi sguardi dello spettatore, nella mente di cui rimangono le tracce distinte della fisionomia rappresentata e della disposizione del quadro. Mutata la forma tumultuosa ed instabile della nostra città; assoggettata questa alla signoria de' Visconti, i costumi, la felicità, la pace, la guerra, la povertà o la ricchezza diventarono dipendenti della buona o cattiva indole del sovrano, sul quale principalmente convien fissare lo sguardo.
I Torriani vennero per sempre scacciati, siccome dissi, dalla città. Matteo Visconti collo sborso di quarantamila fiorini d'oro, l'anno 1311, nel mese di luglio, ottenne dal re dei Romani, Enrico di Lucemburgo, un diploma col quale lo creò vicario imperiale nella città e contado di Milano. Diciassette anni prima, Matteo istesso era stato creato vicario imperiale dall'augusto Adolfo, non di Milano soltanto, ma di tutta la Lombardia, come mero e misto imperio. Il re Enrico doveva abbandonare la Lombardia, ed inoltrarsi verso Roma, ove ricevette la corona imperiale. Egli aveva in animo di sottomettere il regno di Napoli, ma gli mancavano i danari; non è quindi meraviglia che, volendo egli trar profitto dalla carica di vicario dell'Impero, la concedesse un uomo che gli dovea tutto, cioè Matteo Visconti. Passò poi quel buon imperatore nella Toscana, ove, a Buonconvento, morì il 24 agosto 1313. La controversa cagione della di lui morie non è un oggetto appartenente alla storia di Milano.
L'arcivescovo di Milano era uno della casa della Torre, cioè Cassone della Torre; e doveva vivere esule dalla sua patria, seguendo il destino della sua famiglia. Egli dalla Francia, ove stavasene ricoverato presso del papa, si portò a Pavia, città che allora non era dominata dai Visconti, e l'anno 1314 da Pavia scrisse a Matteo Visconti una lettera che comincia così: Cassonus etc. Viris utinam providis Mattheo Vicecomiti, vicario et rectori, sive capitaneo, potestati, sapientibus et antianis, consiliariis, consulibus, consilio, Communi civitatis Mediolani, et Galeatio, Luchino, etc.; indi espone i mali fatti ai possessi arcivescovili, e conclude: ut ideo tu Mattheus Vicecomes, et ilii ut supra nominati, nisi vos emendavetis de praedictis, in perpetuum excomunicamus, anathematizamus, omnique commercio humano ac ecclesiastica sepultura atque sacris ordinibus privamus. Pare che questo sia stato il primo annunzio degli anatemi che vennero scagliati dappoi.
Matteo era un uomo acuto e pacato. Poco a poco stese la sua dominazione su Piacenza, Bergamo, Novara e qualche altra città. Pavia era una città forte, nemica di Milano quasi da trecento anni. Matteo Visconti fece comparire le sue armi sotto Pavia, le quali intrapresero dalla parte di Milano un finto attacco, a rispingere il quale incautamente accorsero tutte le forze del presidio. Frattanto un altro corpo di militi di Matteo, assistito da' corrispondenti ch'erano nella città, entrò dall'opposta parte in Pavia, guidato da Stefano Visconti, uno dei figli di Matteo; e così Pavia diventò dei Visconti l'anno 1315, e si assicurò Matteo che da quella vicina e forte città l'arcivescovo Cassone della Torre non gli avrebbe più scritte di tai lettere. I Pavesi, un secolo e mezzo prima, avevano avuta gran parte nella rovina di Milano. Ne' meschini tuguri ove stavano appiattati i nostri maggiori a Noceto e Vigentino, risuonavano ancora i singulti degli avviliti cittadini, che temevano non incendiassero i Pavesi anche que' tristi ricoveri. Matteo Visconti risparmiò ogni danno possibile ai Pavesi, fabbricò un castello col quale assicurarsi quella signoria, e ne confidò il comando a Luchino suo figlio. Matteo non era punto atroce, e pensava alla stabile grandezza del suo casato. Le sue armi erano confidate a' suoi figli. Non sembra ch'egli fosse in conto alcuno uomo da guerreggiare; Marco Visconti comandava Alessandria e Tortona, Galeazzo comandava Piacenza, Luchino Pavia, e Lodrisio, cugino di Matteo, comandava Bergamo. I figli suoi avevano ardor militare e perizia; e l'estensione del dominio n'è la prova; poichè in breve furono assoggettate Piacenza, Bergamo, Lodi, Como, Cremona Alessandria, Tortona, Pavia, Vercelli e Novara; e così Matteo signoreggiava undici città, compresa Milano.
Non poteva piacere al papa la signoria de' Visconti per le ragioni che altrove ho indicate. Il papa, sebbene rifugiato nella Francia, sempre aveva in vista l'Italia. Dopo la morte di Enrico di Lucemburgo gli elettori nella Germania formarono due partiti, e furono incoronati re di Germania e de' Romani Federico d'Austria e Lodovico di Baviera. Il papa Clemente V aveva inalberata una pretensione, che fu poi cagione di una lunga guerra fra l'Impero ed il sacerdozio. Pretendeva quel papa che il giuramento che solevano gl'imperatori pronunziare nella incoronazione fatta dal sommo pontefice, fosse un giuramento di fedeltà e di vassallaggio. Questa opinione la sosteneva anche il suo successore Giovanni XVII; e in conseguenza spedì, l'anno 1317, due frati nella Lombardia, i quali in di lui nome dichiararono invalide le elezioni di Federico e di Lodovico: pubblicarono vacante l'Impero, e comandarono che non ardisse alcuno di arrogarsi il titolo di vicario imperiale. La cosa era chiara che si aveva di mira Matteo Visconti, la di cui pieghevole politica non urtava mai, e secondava anzi i tempi. Matteo cessò di chiamarsi vicario imperiale, e assunse il titolo di _signor gen
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