Free eBook, AI Voice, AudioBook: Gli avvenimenti di Sicilia e le loro cause by Napoleone Colajanni

AudioBook: Gli avvenimenti di Sicilia e le loro cause by Napoleone Colajanni
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GLI AVVENIMENTI DI SICILIA E LE LORO CAUSE
Prefazione
Catania, 10 Febbraio 1894.
I tumulti recenti della Sicilia hanno, per le origini e gli effetti loro, una importanza sociale che la facilità onde sono stati repressi non parrebbe loro concedere. Tu che li hai osservati con occhio di filosofo, moderati con accorgimento d'uomo politico e con cuore di cittadino, fai bene di consegnarli alla storia con quella serenità di giudizio, che alle coscienze intemerate non è difficile mantenere nei momenti più tempestosi e fra le passioni più vive.
Due principali verità risultano, a parer mio, dalla notizia sincera dei fatti: la indipendenza dei moti siciliani da qualunque opera di partito, e la prepotenza d'un governo che vuol parer forte e non è.
Non che essere eccitate e preparate dai socialisti, a me pare che le ribellioni, determinate unicamente dalle condizioni specialissime dell'isola, dagli arbitrî feudali dei proprietarî, dalla spietata ingordigia delle amministrazioni, dalla miseria ineffabile dei lavoratori, abbiano fatto constatare e toccar con mano la nessuna coesione del partito socialista, la discordia dei suoi capi, la varietà bizzarra dei suoi gruppi, l'incertezza dei principî, dei metodi, dell'azione. Il socialismo in Sicilia ha avuto più presa che altrove, perché ha trovato terreno più proprio: la propagazione meravigliosa dei Fasci prova che esso non è artificiale e superficiale, ma ha radici nelle viscere stesse della vita del proletario siciliano; è piuttosto effetto che causa. Il popolo, per altro, quale ch'esso sia, poco suole accogliere e fecondare delle teoriche d'un partito: afferra tutt'al più un'idea rispondente al suo stato, un sentimento che consuona col suo; e quando si sente alle strette, si getta nell'azione, senza chiedere consiglio a nessuno. La miseria e la mala signoria furono e saranno mai sempre i motivi principali delle rivolte.
Questa condizione di cose rende ancor più colpevoli e mostruosi i modi adottati dal governo per reprimere le ribellioni. Qualche agevolezza concessa lì per lì alle prime avvisaglie, avrebbe probabilmente sedato il fermento dei contadini affamati. Ma sì! I cartelloni erano già stati affissi alle cantonate; la baracca era aperta, i biglietti distribuiti; la gran cassa rintronava già negli stomachi degli spettatori; e come si faceva a sopprimere lo spettacolo.
La signora Astrea, che dietro alle quinte avea fatto copia di sè a tutta la borghesaglia legittima e legalitaria, venne allora su la ribalta e recitò col peggior garbo del mondo la parte della verginella oltraggiata: scaraventò i pesi in faccia ai presunti seduttori: agguantò la bilancia per il giogo e la sbatacchiò su la testa dei primi poveri diavoli che le vennero a tiro. La borghesaglia legittima e legalitaria si dichiarò soddisfatta; si soffiò il naso impeperonito: e con le dita intrecciate sul buzzo e tentennando la testa come i cuorcontenti di gesso, esclamò in falsetto pecorino: Le istituzioni son salve; l'ordine regna in Varsavia; ora possiamo tornare tranquillamente a barattare, a banchettare e a russare.
A proposito: e le riforme? Ah! sì: ci sono anche queste per aria; o per dir meglio, c'è una commissione che le studia, e che ponza la felicità del genere umano. Lasciamola ponzare; e che Dio la renda lubrica. Che cosa saranno queste riforme il gazzettume ufficioso nol dice: esso spreca tutto il suo fiato prezioso per informarci di balzelli nuovi, di soppressioni di uffici, di monopoli audaci, di ricchezze cavate dalle borse e dalle vene di tutti. Le istituzioni, si sa, han da salvarsi; i sagrificî non sono mai troppi. E poi, i balzelli hanno l'ale; e le riforme la gotta. Aspettiamo dunque che l'erba cresca; e se l'asino muore, peggio per lui. Ciò che saranno codeste riforme possiamo immaginarlo: riforme borghesi; e cioè, o tali, che tornino in benefizio dei borghesi, o, che peggio, tali che peggiorino la sorte dei proletari.
E tu, caro Colajanni, hai il torto di non crederle queste cose. A te, che la mente tua illuminata dalla dottrina sociale e dal nobile ardore tuo per la giustizia, ti spinge a credere nella possibilità di una soluzione equa ed armonica dei conflitti sociali, sembra incredibile che il governo, il quale dovrebbe essere il moderatore dei conflitti e il dispensatore della giustizia, si mostri invece uno dei principali agenti della discordia, uno dei più accaniti oppressori della plebe. Tu speri che, lungi dal contribuire a peggiorare il malessere economico e morale dell'isola, la classe dirigente dell'Italia unita non più tardi che possa farvi le riforme che da essa attendono con tanta speranza i Siciliani.
E in questo tuo sacro errore, che è la virtù tua, io ti seguirò volentieri: e mi riprometto di essere utile a te e alla patria, se potrò mettere un po' della mia opera nel servizio delle verità che tu insegui. Tu hai il dono di narrare i fatti con la precisione dello storico e di analizzarli con la profondità del sociologo. Tu possiedi le qualità che ti rendono atto a dissezionare la società, a scoprirne i vizi, a indicar la via di guarigione. Tu potrai dire al paese non solo la storia della ribellione siciliana, ma eziandio le cause sue, profonde e remote, e la necessaria conseguenza delle cause medesime.
La Sicilia, signore e signori, non è un paese come un altro. È una delle più antiche civiltà del mondo. Ha avuto storia, arte, letteratura, governo proprio; ha dato all'Italia e all'Europa uomini illustri in ogni disciplina. Ma quando tu la guardi con occhio d'artista, con occhio di storico, con occhio di politico, tu vedi che essa è un paese di rovine, ma che nell'ossa di queste rovine è un vivente, che la sua storia è un ininterrotto succedersi di oppressioni, di saccheggi, di rivolte. Essa è stata invasa, dominata, sfruttata da tutti: Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Italiani. Essa ha visto innalzarsi e crollare imperi, e in mezzo a tutto questo, la vita del popolo siciliano non ha mai goduto di un momento di pace. Le classi dominanti d'Italia non hanno mai pensato a fare per essa la stessa opera che fecero per la parte continentale della penisola; e i governi che si successero dopo l'unità, non si curarono di essa se non per trarne imposte e soldati. La Sicilia, il cui malessere è opera di secoli, non ha potuto in questi ultimi anni rimarginare le sue piaghe. Anzi, il malessere è andato aumentando, e la miseria e l'ignoranza e la disperazione dei lavoratori hanno raggiunto il colmo.
Io ti ringrazio, amico mio, di avermi invitato a scrivere la prefazione al tuo libro. Ho accettato volentieri, perché ritengo che il tuo libro servirà a fare conoscere al pubblico italiano la vera condizione della Sicilia, e a scuotere le coscienze dei nostri governanti.
Tuo affezionatissimo, Mario Rapisardi.
CAPITOLO I
La questione sociale in Sicilia, come in tutte le parti del mondo, è un effetto della storia. Essa è il prodotto di secoli e secoli di malgoverno, di ingiustizie, di oppressioni. La Sicilia, che fu culla di civiltà, che diede all'Europa uomini illustri in ogni campo del sapere, che fu sede di un regno potente e rispettato, che ebbe una vita politica fiorente e gloriosa, è oggi una delle province più misere e più sventurate dell'Italia.
Le cause di questa decadenza sono molteplici e complesse. Esse affondano le loro radici nel passato, e si sono aggravate nel corso dei secoli, fino a raggiungere il culmine nell'epoca presente. Non è facile, né forse possibile, racchiuderle tutte in un breve spazio. Ma cercheremo di esporre le principali, quelle che hanno avuto un'influenza più diretta e profonda sulla condizione attuale della Sicilia.
I. Le cause storiche
La Sicilia, per la sua posizione geografica, è stata sempre un campo di battaglia, un crocevia di popoli e di civiltà. Fin dai tempi più remoti, essa fu contesa tra le grandi potenze del Mediterraneo. Greci, Fenici, Cartaginesi, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, e infine gli Italiani, si sono succeduti al dominio dell'isola, lasciando ognuno le proprie impronte, ma contribuendo anche a perpetuare un sistema di sfruttamento e di oppressione.
La dominazione romana, che pure portò un certo ordine e una certa civiltà, fu soprattutto un periodo di sfruttamento economico. La Sicilia divenne il granaio di Roma, e i suoi prodotti venivano esportati in massa per nutrire la capitale dell'Impero. Le classi dirigenti romane si arricchirono a spese dei contadini siciliani, che furono ridotti in uno stato di semi-schiavitù.
Dopo la caduta dell'Impero Romano, la Sicilia fu invasa da diverse popolazioni barbariche. Gli Arabi, che la conquistarono nell'IX secolo, portarono un periodo di grande prosperità. Introdussero nuove colture, svilupparono l'irrigazione, promossero l'industria e il commercio. Palermo divenne una delle città più belle e più ricche del mondo.
Ma questa prosperità ebbe vita breve. Nel 1061, i Normanni iniziarono la conquista dell'isola, che si protrasse per circa trent'anni. Essi instaurarono un regno forte e centralizzato, ma anche in questo caso, il potere era nelle mani di una minoranza, mentre la maggioranza della popolazione continuava a vivere in condizioni di semi-servitù.
Successivamente, la Sicilia passò sotto il dominio degli Svevi, degli Angioini e degli Aragonesi. Ogni cambio di dinastia portò con sé nuove guerre, nuove devastazioni, e un aggravamento delle condizioni sociali ed economiche. Il sistema feudale, già presente, si consolidò ulteriormente, creando una gerarchia sociale rigida e immutabile, in cui i baroni possedevano quasi tutta la terra, mentre i contadini non avevano quasi diritti.
La dominazione spagnola, che durò per oltre quattro secoli, fu un periodo di profonda decadenza. La Spagna, impoverita e indebolita, non fu più in grado di garantire la prosperità e la sicurezza dell'isola. Il malgoverno, la corruzione, le continue guerre, l'abbandono delle opere pubbliche, portarono la Sicilia a uno stato di estrema miseria.
Fu solo nel XVIII secolo, con l'avvento dei Borboni, che si ebbero alcuni tentativi di riforma. Ma questi tentativi furono insufficienti e tardivi. La Sicilia rimase sempre una provincia marginale, sfruttata dalla metropoli napoletana.
Infine, nel 1860, la spedizione dei Mille di Garibaldi portò all'annessione della Sicilia al Regno d'Italia. Si sperava che l'unità nazionale avrebbe portato un miglioramento delle condizioni dell'isola. Ma queste speranze furono presto deluse. L'Italia unita non fece per la Sicilia molto più di quanto avevano fatto i suoi dominatori stranieri. Anzi, si può dire che le condizioni della Sicilia si aggravarono ulteriormente.
II. Le cause economiche
Le cause economiche della questione sociale in Sicilia sono strettamente legate alle cause storiche. Il sistema feudale, che si è protratto per secoli, ha creato una situazione di estrema disuguaglianza nella distribuzione della terra. La maggior parte della terra è nelle mani di pochi grandi proprietari terrieri, che la coltivano per mezzo di contadini poveri e diseredati.
Questi contadini, o "gabelloti", come vengono chiamati in Sicilia, sono costretti a pagare un affitto esorbitante per le terre che lavorano. Sono inoltre costretti a lavorare in condizioni disumane, con orari di lavoro estenuanti e salari da fame. La loro vita è una lotta continua per la sopravvivenza, e la miseria è la loro sorte inevitabile.
A questo si aggiungono le condizioni ambientali sfavorevoli. La Sicilia è un'isola arida, con scarse risorse idriche. La maggior parte del territorio è montuoso e collinare, e solo una piccola parte è adatta alla coltivazione intensiva. La mancanza di infrastrutture, come strade, ferrovie, porti, ostacola ulteriormente lo sviluppo economico.
Le politiche economiche dei governi italiani post-unitari non hanno fatto altro che aggravare questa situazione. Anziché promuovere lo sviluppo agricolo e industriale dell'isola, i governi hanno concentrato i loro sforzi sulle regioni del nord, trascurando completamente il sud. Le imposte sono aumentate, mentre i servizi pubblici sono diminuiti. Le poche risorse che l'isola produceva venivano esportate per arricchire altre regioni.
Il sistema dei latifondi, che è stato mantenuto e persino aggravato, ha impedito lo sviluppo di una classe di piccoli proprietari terrieri, che avrebbe potuto contribuire a migliorare le condizioni economiche dell'isola. La disoccupazione è altissima, e la migrazione verso l'estero è diventata una necessità per molti Siciliani che cercano di sfuggire alla miseria.
III. Le cause sociali e politiche
Le cause sociali e politiche sono anch'esse strettamente legate alle cause storiche ed economiche. Il sistema feudale e il malgoverno hanno creato una società profondamente divisa e gerarchizzata. Da un lato, una piccola élite di proprietari terrieri, borghesi e aristocratici, che detengono il potere economico e politico. Dall'altro, una vasta massa di contadini, operai e disoccupati, che vivono in condizioni di estrema povertà e disperazione.
Questa disuguaglianza sociale ha creato un clima di sfiducia, risentimento e ribellione. La mancanza di diritti politici, la corruzione dilagante, l'assenza di giustizia sociale, hanno alimentato un profondo malcontento tra la popolazione.
Il sistema politico italiano, inoltre, si è dimostrato incapace di affrontare la questione sociale siciliana. I governi che si sono succeduti hanno sempre cercato di mantenere lo status quo, ignorando le legittime richieste del popolo siciliano. Le promesse di riforme sono rimaste lettera morta, e la repressione violenta è stata l'unica risposta alle proteste.
La mafia, che è un fenomeno tipicamente siciliano, è essa stessa un prodotto di questo sistema di oppressione e di sfruttamento. Essa si è sviluppata come un'organizzazione criminale che ha approfittato della debolezza dello Stato e della disperazione della popolazione per imporre il proprio potere. La mafia controlla l'economia illegale, ma si inserisce anche nell'economia legale, estorcendo denaro ai commercianti e agli agricoltori, e influenzando le elezioni politiche.
Le classi dirigenti italiane, invece di combattere la mafia, spesso hanno cercato di servirsi di essa per i propri scopi politici. Questo ha creato un circolo vizioso, in cui la mafia si è rafforzata, mentre lo Stato si è indebolito.
Tutto ciò ha portato alla situazione attuale, in cui la Sicilia è una terra di profonde ingiustizie sociali, di miseria diffusa, di disperazione dilagante. I recenti tumulti, che hanno scosso l'isola, sono solo l'ultima manifestazione di un malessere che si trascina da secoli, e che rischia di esplodere in modo ancora più violento, se non verranno affrontate seriamente le cause profonde della questione sociale siciliana.
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